Il dovere di mantenimento del figlio adulto verso i genitori
Se il dovere di mantenere il figlio adulto, mediante corresponsione di un assegno periodico, è questione ormai definita perché << E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli >>, non pare altrettanto chiara l’ipotesi inversa, ossia quando il figlio debba occuparsi dei genitori, anziani o incapaci.
Ben conosciamo il contenuto dell’art. 570 n.3 c.p. che sanziona << chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa >>, ma quando il dovere di assistere i genitori cessa di essere una mera obbligazione naturale e diventa un dovere?
Preliminarmente ricordiamo che “obbligazione naturale” è quella elargizione di danaro eseguita spontaneamente in esecuzione di doveri morali o sociali, in forza dei principi di solidarietà familiare, e che non ammette il diritto alla restituzione di quanto versato.
Quindi il figlio che si offre spontaneamente di pagare le bollette dei genitori, o la spesa al supermercato o le visite mediche non matura un diritto di credito.
L’ipotesi in cui il figlio o i figli siano tenuti a mantenere i genitori (o il genitore) rilevante a tutti gli effetti è solo quella del riconoscimento “ufficiale” di un diritto agli alimenti, ossia dell’obbligo sancito con una sentenza che stabilisce chi – figlio o altri - sia obbligato a versare periodicamente al genitore una somma di denaro.
Gli “alimenti” legali (art. 433 cod. civ.) sono prestazioni di assistenza diretta e materiale che l’obbligato deve versare a persona in stato di bisogno economico, e che vedono come primo obbligato al versamento il donatario, ossia colui che abbia ricevuto da chi oggi versa in stato di bisogno una somma di denaro per mero spirito di liberalità.
Quindi l’obbligo alimentare non spetta sempre e solo ai figli né i genitori ne hanno sempre diritto, dovendosi accertare lo “stato di bisogno”, ossia l’incapacità del beneficiario di far fronte alle principali esigenze della vita: vitto, alloggio, vestiario e medicinali, e, dall’altro versante, occorrerà accertare la esistenza di una disponibilità economica dell’obbligato a versare gli alimenti.
L’obbligazione alimentare non è obbligazione solidale, per ciascuno coobbligato è tenuto a versare solo la sua quota parte.
Ciascun obbligato poi deve poter contribuire in base alle sue risorse e capacità economiche, per cui più chiamati potranno contribuire in quantità differente tra loro verso un unico beneficiario.
Lo stato di bisogno è considerato come condizione obiettiva e va accertato in concreto, per cui non rileva come il genitore sia addivenuto all’indigenza, benché la condotta disordinata del beneficiario successiva alla concessione dell’assegno alimentare può consentire la domanda di revoca del beneficio. D’altro canto, la capacità di lavorare del genitore esclude sempre il suo diritto agli alimenti.
La domanda deve essere presentata alla Autorità Giudiziaria competente per territorio e soggiace all’onere probatorio.
Importante poi sottolineare che la somma destinata dal Giudice al beneficiario non può mai superare quanto sia a lui necessario per la vita.
Quindi in assenza di una pronuncia della Autorità Giudiziaria, il figlio che abbia provveduto spontaneamente a sostenere economicamente i genitori non ha diritto a ricevere un rimborso da parte degli stessi e\o dalla eredità dismessa da loro morendo e\o dai consanguinei che si siano disinteressanti dei comuni ascendenti, anche volontariamente e non per situazioni contingenti.
Anche il figlio che ha accudito il genitore, accogliendolo in casa, non ha diritto ad una quota maggiore di eredità, salvo il caso di indegnità a succedere o di lascito testamentario.
Morale e diritto non vanno sempre di pari passo. Purtroppo.
Avv. Riccarda Greco